
Studio di Salvatore Marinò
I cherubini
I primi angeli a comparire nella Bibbia sono i cherubini. Essi vengono presentati nel libro della Genesi, subito dopo il cosiddetto peccato originale:
Così egli scacciò l’uomo; e pose ad est del giardino di Eden i cherubini, che roteavano da tutt’intorno una spada fiammeggiante, per custodire la via dell’albero della vita. (Gn 3,24)
Questo è il versetto conclusivo del terzo capitolo della Genesi, interamente dedicato alla caduta dell’uomo. Per comprendere il significato di un versetto biblico, è importante considerare il suo contesto. I versetti biblici non vanno estratti arbitrariamente senza considerare il contesto, perché in questo modo si farebbe dire alla Bibbia tutto ciò che noi vogliamo. Cerchiamo dunque di sintetizzare il contenuto del terzo capitolo.
Il capitolo III si apre presentando un personaggio molto “oscuro”, ossia il serpente, il più astuto di tutte le fiere dei campi che l’Eterno Dio aveva fatto. Questo serpente inizia a dialogare con la donna e le suggerisce di mangiare il frutto proibito, quello dell’albero della conoscenza del bene e del male, di cui Dio aveva detto espressamente di non mangiare. La donna ascolta il serpente e mangia il frutto, poi fa mangiare il frutto anche all’uomo, quindi i due vengono puniti da Dio. Questi non voleva che l’uomo arrivasse a mangiare anche dell’albero della vita, così espulse l’uomo dal giardino di Eden e mise i cherubini come custodi.
Leggendo e rileggendo il versetto 24 sopraesposto ci accorgiamo che i cherubini dell’Antico Testamento sono molto diversi dall’immagine che oggi abbiamo di loro. Ad esempio, a motivo del dipinto di Michelangelo, vediamo i cherubini come bambini dolci e amabili, oppure li immaginiamo in forma umana, magari con la bella spada fiammeggiante in mano. Questa seconda immagine è forse la più creduta, ma siamo così certi che la Bibbia ci presenti i cherubini in questo modo?
Ci sono tradizioni antiche che parlano dei cherubini come di oggetti meccanici. Secondo alcuni rabbini, infatti, è da sempre noto attraverso il Talmud[1] che i cherubini siano oggetti meccanici. Questa considerazione deve farci riflettere molto ed è un invito a stravolgere completamente l’immagine che noi abbiamo dei cherubini. Certo, dal versetto 24 non è proprio chiaro che i cherubini non siamo esseri umanoidi, ma i versetti che andremo ad analizzare confermeranno questa tesi.
Andiamo così a vedere i cherubini che si presentano sull’arca dell’Alleanza. Cerchiamo prima di capire cosa sia questa arca. Trattasi della reliquia più sacra degli ebrei, che purtroppo è andata perduta. L’arca dell’Alleanza era una cassa di legno tutta ricoperta d’oro e presentava delle caratteristiche molto particolari, che in questa sede non andiamo ad approfondire. È importante sapere che l’arca conteneva le due tavole di pietra dei comandamenti dati da Dio a Mosè. Fu sempre Dio a dare istruzioni al suo profeta sulla fabbricazione dell’arca. Queste indicazioni le leggiamo nel secondo libro della Torà:
Farai quindi due cherubini d’oro; li farai lavorati al martello alle due estremità del propiziatorio; fa’ un cherubino a una delle estremità e un cherubino all’altra estremità; farete i cherubini di un sol pezzo col propiziatorio alle sue estremità. E i cherubini avranno le ali spiegate in alto, in modo da coprire il propiziatorio con le loro ali; saranno rivolti l’uno verso l’altro, mentre le facce dei cherubini saranno volte verso il propiziatorio. (Es 25, 18-20)
Questi versetti riguardano le indicazioni che Dio ha dato a Mosè per la costruzione dell’arca dell’Alleanza, in particolare questi versi si occupano del propiziatorio, ossia del coperchio dell’arca. Su di esso ci dovevano essere due cherubini. Qui comprendiamo chiaramente che i cherubini fossero degli oggetti, ma non è altrettanto chiaro che fossero meccanici. Questo perché non conosciamo bene le proprietà dell’arca. Secondo studi molto recenti, questa doveva essere un condensatore energetico molto potente e pericoloso, tanto che gli ebrei usavano l’arca anche nelle loro guerre. Dunque i cherubini presenti sull’arca non potevano certo essere in carne e ossa, ma si capisce chiaramente che in questo caso stiamo parlando di cose, ossia di oggetti con proprietà particolari, che ci è difficile individuare.
Passiamo ora alla considerazione di una terza tipologia di cherubini, ossia dei cherubini intesi come oggetti volanti. Qui dobbiamo andare nella raccolta dei Salmi, in particolare nel Salmo 18, scritto dal re David quando questi fu salvato da Dio. David ci dice chiaramente che Dio andò a salvarlo da una battaglia difficile e
Cavalcava un cherubino e volava; volava veloce sulle ali del vento. (Sl 18,10)
Grazie a queste parole ci rendiamo conto del fatto che i cherubini biblici tutto sono tranne che esseri umani in carne e ossa, né possono considerarsi esseri umanoidi come gli angeli considerati in generale. Qui addirittura vediamo che Dio cavalcava un cherubino e, grazie a questo cherubino, volava. Non possiamo ignorare la teoria moderna degli antichi astronauti, secondo cui le divinità antiche erano degli esseri provenienti da altri pianeti e dotati di una tecnologia molto avanzata. Coloro che ragionano in questo modo, ritengono che i cherubini fossero una specie di UFO, ossia di mezzi volanti con cui gli dèi si spostavano nei cieli. Noi non vogliamo né confermare né smentire questa tesi, ma ci limitiamo a riportare le diverse interpretazioni che possono aiutarci a comprendere la verità che si cela dietro. Ovviamente con questi testi antichissimi non ci sono certezze e, forse, non ce ne saranno mai. Questi non possono essere considerati “libri storici” e sono libri che non hanno fonti. Dobbiamo semplicemente fidarci di quello che troviamo scritto e, come dice qualcuno, dobbiamo fare finta che ciò che sta scritto sia vero.
I serafini
Un’altra tipologia molto nota di angeli è quella dei serafini. Essi vengono presentati in un solo passo della Bibbia, ovvero nel libro di Isaia, al capitolo VI. Qui lo scrittore (che teoricamente sarebbe lo stesso Isaia, ma non ci sono certezze al riguardo) descrive una visione avuta dal profeta e la sua vocazione, ossia il suo mandato. Lo scrittore ci dice che siamo nell’anno della morte del re Uzzia; in questo periodo storico, il profeta vide Dio assiso sopra un trono alto ed elevato. La visione del trono di Dio è veramente unica e pochi profeti hanno avuto grazia di vivere un’esperienza simili. Non a caso, Isaia è uno dei profeti più importanti per la storia di Israele.
Fatta questa premessa, giungiamo al cospetto del secondo versetto di questo capitolo VI, nel quale leggiamo che sopra questo trono divino Isaia vide dei serafini, e ognuno di essi aveva sei ali: con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Leggendo queste parole, dobbiamo notare che la descrizione dei serafini è notevolmente diversa da quella dei cherubini che abbiamo analizzato. Mentre i cherubini sembrano essere macchine volanti o oggetti meccanici, i serafini sembrano avere un aspetto umanoide. Ciò lo notiamo dal fatto che il profeta parla di faccia e di piedi. Inoltre i serafini hanno chiaramente sei ali, mentre solitamente i cherubini vengono rappresentati con quattro ali. Così come abbiamo cherubini volanti (cavalcati da Dio), abbiamo anche i serafini volanti, perché il profeta ci dice espressamente che, grazie a due ali, ogni serafino volava. Non è chiaro quanti serafini abbia visto il profeta, ma il numero è indeterminato. Considerando che gli angeli sono tanti, i serafini non dovevano essere pochi, anche perché se fossero stati due o tre probabilmente Isaia avrebbe individuato facilmente questo numero esiguo, invece lui dice dei serafini, quindi si trattava di un gruppo di cui non possiamo facilmente individuare il numero.
I serafini visti da Isaia non erano passivi, ma svolgevano un’attività ben precisa: cantavano le lodi a Dio. Questo particolare lo troviamo nel terzo versetto, in cui è scritto che ogni serafino gridava all’altro: “Santo, santo, santo è l’Eterno degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria.” Qui abbiamo una dichiarazione doppia molto importante, perché i serafini ci dicono che Dio è:
- Tre volte santo, quindi completamente santo, puro e perfetto;
- Il Signore degli eserciti, quindi il leader di un esercito di angeli.
Per fare queste dichiarazioni, i serafini dovevano conoscere molto bene le caratteristiche di Dio, il quale sembra essere quasi inconoscibile per l’uomo. Dio infatti si rivela all’uomo in casi eccezionali, spesso tramite i suoi angeli, che sono i suoi rappresentati. Con questa dichiarazione inoltre possiamo scorgere una certa sottomissione dei serafini a Dio. Essi dichiarano che egli è l’Eterno degli eserciti, quindi il proprio comandante, ossia l’imperatore del mondo celeste. I serafini sembrano essere al completo servizio di Dio, tanto che è discusso in teologia il tema del libero arbitrio degli angeli. Secondo alcuni, infatti, a differenza dell’uomo, gli angeli non avrebbero il libero arbitrio; ma sarebbero completamente sottomessi alla volontà divina. Non siamo però totalmente convinti di questa teoria, poiché l’Apocalisse ci dice (e lo vedremo a breve) che vi fu una guerra nei cieli perché alcuni angeli si ribellarono a Dio. Come potevano dunque ribellarsi senza avere il libero arbitrio? La cosa ci sembra improbabile. Sembra più corretto dire che tutti gli angeli di luce servono Dio perché vogliono servirlo con tutto il cuore.
Isaia ebbe questa visione nel tempio e pensò immediatamente di essere perduto, perché si sentiva impuro e immeritevole di quel dono divino. A questo punto, interviene personalmente un serafino, il quale volò verso il profeta tenendo in mano (troviamo ancora un elemento umano) un carbone ardente. Con questo, toccò la bocca del profeta e gli disse: “La tua iniquità è rimossa e il tuo peccato è espiato”. Questa dichiarazione è molto importante, perché significa che i serafini hanno il potere di rimettere i peccati, potere che nel Nuovo Testamento è concesso solo a Gesù. Il serafino dichiara che il peccato di Isaia è espiato senza fare un sacrificio animale; ciò è importante, perché all’epoca dell’Antico Testamento i peccati venivano espiati solo attraverso il versamento di sangue. Questa espiazione per mezzo del carbone ardente è dunque una eccezione, permessa al serafino per volontà di Dio.
Dopo essere stato purificato dal serafino, Isaia sente addirittura la voce di Dio che diceva: “Chi manderò e chi andrà per noi?”. Questa fu la chiamata di Isaia, alla quale il profeta rispose prontamente: “Eccomi, manda me!”. A questo punto inizia il ministero profetico di Isaia e i serafini scompaiono per sempre dalla scena. Non verranno mai più menzionati né nell’Antico Testamento né nel Nuovo Testamento, ma il loro ricordo non morirà mai.
Per fare una breve sintesi di ciò che abbiamo letto, dobbiamo considerare che i serafini e i cherubini dovevano essere due tipologie di esseri completamente diversi. Questo perché i cherubini non sono per niente antropomorfi, cioè non hanno forma umana, al contrario dei serafini che vengono descritti da Isaia come esseri aventi una faccia, dei piedi e delle mani. Inoltre i serafini parlano, segno di intelligenza e di capacità comunicativa. Non risulta invece che i cherubini abbiano mai parlato nella Bibbia. Questi elementi sembrano confermare la tesi secondo cui i cherubini sarebbero macchine mentre i serafini esseri umanoidi in carne e ossa. Ma la verità non è nelle tasche di nessuno.
L’Angelo dell’Eterno va da Agar
Una delle prime apparizioni angeliche in assoluto nella Bibbia è quella che troviamo nella Genesi, capitolo 16, quando si parla della schiava di Abramo chiamata Agar. Questa donna era un’egiziana che serviva la casa di Abramo, e quindi anche la moglie Sara. Quest’ultima non riusciva ad avere figli, così decise di far unire la serva con Abramo. Fu così che Agar rimase incinta. Purtroppo però ci furono subito problemi, così Sara si lamentò con Abramo, dicendogli che non si sentiva più rispettata dalla serva. Abramo rispose alla moglie dicendo: “Ecco, la tua serva è in tuo potere; fa’ di lei ciò che ti pare.” (v.6). Così Agar fu trattata male da Sara, quindi decise di fuggire lontano dalla casa di Abramo.
Quando Agar giunse presso una sorgente d’acqua nel deserto, trovò l’Angelo dell’Eterno, il quale la interrogò, chiedendole da dove veniva e dove stava andando. Agar gli spiegò brevemente la situazione, così l’Angelo le disse di tornare dalla padrona Sara e di sottomettersi alla sua autorità. Poi aggiunse una benedizione: “Io moltiplicherò grandemente la tua discendenza tanto che non la si potrà contare, a motivo del suo gran numero” (v.10), e infine le disse che doveva chiamare il figlio Ismaele e fece una profezia su quest’anima. Così Agar tornò presso la casa di Abramo.
Commentiamo brevemente questo episodio, cercando di evidenziare le caratteristiche di questo angelo. Innanzitutto egli si trovava nel deserto, quindi in un luogo molto solitario, un luogo anche pieno di pericoli. Non è chiaro se l’angelo si trovasse lì di suo oppure avesse inseguito Agar fino a trovarla. È curioso notare che l’angelo sembra non avere idea del perché la donna fosse lì. Però sembra conoscere bene la donna e il suo nome, perché il testo ci dice che l’angelo disse: “Agra, serva di Sarai, da dove vieni e dove vai?” (v.8). L’angelo conosce perfettamente questa donna, la chiama per nome e sa che è la serva di Sara (Sarai era il suo nome prima della benedizione). Questa è una prova evidente del fatto che agli angeli non può essere associato l’attributo della onniscienza, tipico di Dio. Solo Dio sembra sempre sapere tutto, o comunque è questo l’insegnamento tramandato: Dio è onnisciente, gli angeli no. Infine l’angelo dà:
- Un comando
- Una benedizione
- Una profezia
Questo ci fa capire che l’angelo ha grande potere, perché si ritiene che egli attinga il potere direttamente da Dio. L’angelo riesce a parlare per nome e per conto di Dio. L’angelo è palesemente un messaggero di Dio, il suo araldo, e in questo brano lo vediamo con chiarezza.
L’Angelo dell’Eterno ferma Abramo
Passiamo ora ad un episodio molto famoso; molti predicatori e ministri di culto presentano ai fedeli le vicende narrate riguardo ad Abramo e a suo figlio Isacco. Abramo e Isacco sono i patriarchi della fede, perciò sono personaggi molto importanti, a cui sono dedicati tanti capitoli nel libro della Genesi. Il capitolo che ci interessa è il ventiduesimo, il quale ci parla della fede di Abramo messa alla prova. All’inizio del capitolo, Dio sembra parlare direttamente con Abramo, senza mediazione angelica. Dio dunque disse al patriarca di prendere il figlio Isacco, di andare nel paese di Moria e di offrirlo in olocausto sopra uno dei monti limitrofi. Questo comando è veramente particolare, considerando anche il fatto che Isacco fu un dono di Dio ad Abramo e Sara, la quale era sterile. Abramo però non tentennò: fece così come Dio gli aveva ordinato di fare.
Andando avanti nel capitolo, leggiamo del momento più importante: Abramo è sul monte solo col figlio e sta per ucciderlo. Il testo ci dice che Abramo quindi stese la mano e prese il coltello per uccidere suo figlio (v.10). A questo punto entra in scena subitaneamente l’Angelo dell’Eterno, il quale chiamò il patriarca dal cielo e gli disse di non fare alcun male al ragazzo, aggiungendo: “Ora infatti so che tu temi Dio, poiché non mi hai rifiutato tuo figlio, l’unico tuo figlio” (v.12). Un montone fu visto da Abramo, il quale prese l’animale e l’offrì in olocausto. Poi il testo ci dice che l’Angelo dell’Eterno chiamò nuovamente Abramo e gli concesse un’importante benedizione, in cui disse che avrebbe moltiplicato la sua discendenza come le stelle del cielo, e concluse dicendo che tutto questo bene gli sarebbe stato concesso perché aveva ubbidito alla sua voce. Poi Abramo tornò dai suoi servi.
Cosa possiamo notare sull’angelo che compare in questo episodio? Innanzitutto, avrai compreso che questo angelo potrebbe essere lo stesso che era apparso ad Agar nel deserto. Non siamo molto sicuri di questo, ma gli studiosi fanno notare che in tutto l’Antico Testamento vi è la comparsa di un angelo particolarmente importante che viene definito l’Angelo dell’Eterno e il suo nome Angelo viene scritto nella Bibbia con la A maiuscola. Alcuni ritengono che questa addirittura sia una teofania, cioè un’apparizione di Dio, ovvero di Gesù Cristo, il quale, non essendo ancora venuto al mondo come Gesù, viene presentato come l’Angelo dell’Eterno. Ovviamente questa è una teoria, una possibile interpretazione, ma la vogliamo riportare perché i cristiani sembrano dare molta importanza a questi aspetti dottrinali.
Un altro punto importante del testo è quello della presentazione di questo angelo. Da dove viene? Il testo è molto chiaro: L’Angelo dell’Eterno lo chiamò dal cielo e disse…(v.11). Qui ci viene detto che l’angelo chiama Abramo dal cielo. Ciò vuol dire che l’angelo volava, ovvero si presenta ad Abramo in cielo, per poi probabilmente scendere sulla terra, sulla montagna. Questo dettaglio conferma il fatto che gli antichi ritenevano che gli angeli volassero. Abbiamo motivo di credere che ritenevano che anche Dio volasse, grazie ai cherubini, come abbiamo già visto. Dunque tutti gli esseri sovrumani avevano probabilmente la capacità di volare, che all’uomo non è mai stata concessa (fino all’invenzione moderna degli aerei).
Possiamo infine notare che l’angelo che va da Abramo ha una missione ben precisa: fermare il profeta. L’angelo porta a termine il suo compito e ad un certo punto sembra parlare come se fosse Dio. Ti faccio notare che al versetto 12 l’angelo dice che sa che Abramo teme Dio e aggiunge al profeta: Poiché non mi hai rifiutato tuo figlio. In realtà la richiesta viene fatta all’inizio del capitolo da Dio “in persona”, mentre l’angelo appare solo dopo. Quindi possiamo notare come l’angelo sia la voce di Dio: egli parla chiaramente per nome e per conto dell’Eterno.
L’Angelo dell’Eterno apparve a Mosè
Ancora una volta, l’Antico Testamento ci parla di questo misterioso Angelo dell’Eterno, che potrebbe essere addirittura Gesù Cristo in persona. Anche in questo episodio, l’angelo ha una missione molto importante: si presenta a Mosè e fa un patto con lui. Conosciamo bene il personaggio di Mosè: non ha bisogno di presentazioni. Diciamo solo che Mosè, in questo momento della storia biblica, era fuggito dall’Egitto ed era andato nella terra di Madian, dove aveva conosciuto una donna e l’aveva sposata. Dunque Mosè stava pascolando il gregge di Ietro suo suocero, quando ad un tratto vide un fenomeno soprannaturale: Mosè guardò ed ecco il roveto bruciava col fuoco, ma il roveto non si consumava (Es 3,2). Mosè fu molto incuriosito da questo fenomeno, non ebbe paura, quindi si avvicinò per vedere di cosa si trattava. Ad un certo punto, il testo ci dice chiaramente che Dio “in persona” lo chiamò di mezzo al roveto e ha inizio un lungo dialogo tra i due. Quello che si può notare leggendo questo passo è che, sempre nel secondo versetto, leggiamo: E l’Angelo dell’Eterno gli apparve in una fiamma di fuoco, di mezzo a un roveto. Quindi la prima figura a comparire è il famoso Angelo dell’Eterno, per poi dare spazio direttamente a Dio.
Questo episodio è molto particolare ed è oggetto di studio da millenni. Tutti vogliono capire cosa veramente abbia visto Mosè e che tipo di apparizione abbia veduto. Non riusciamo a capire le caratteristiche di questo angelo da questi versetti, ma possiamo provare a fare una teoria. Probabilmente l’Eterno si presentò a Mosè in compagnia di un angelo. All’inizio il profeta vide l’angelo, il quale poi lascia tutto lo spazio a Dio. Sappiamo infatti che Dio è sempre circondato dai suoi angeli e tutti gli angeli sono sempre al suo servizio. Quindi non ci stupisce più di tanto l’idea che un angelo si presenta in questo episodio per “annunciare” in qualche molto l’Eterno degli eserciti. In tutto il capitolo terzo di questo libro dell’Esodo non troviamo più alcun riferimento all’Angelo dell’Eterno, ma nel testo originale compare addirittura il nome di Dio, ossia il tetragramma sacro (Yod-He-Waw-He), che noi pronunciamo Jahvè.
L’Angelo dell’Eterno cammina davanti il popolo d’Israele
Andiamo nel quattordicesimo capitolo del libro dell’Esodo. Qui siamo nella storia di Mosè, il quale conduce il popolo di Israele fuori dalla terra di Egitto. In realtà, in questo momento, essi ancora non sono del tutto salvi, perché non hanno ancora oltrepassato il mare (probabilmente non si tratta del mar Rosso, quindi parliamo semplicemente di un mare). Il Faraone decide di inseguire gli israeliti, i quali sono in fuga. Ad un certo punto del testo, leggiamo: “Allora l’Angelo di Dio, che camminava davanti all’accampamento d’Israele, si spostò e andò a mettersi dietro di loro; anche la colonna di nuvola si mosse dal davanti e andò a mettersi dietro” (v.19). Dopo di ciò, leggiamo che Mosè stese la sua mano sul mare; e l’Eterno fece ritirare il mare con un forte vento orientale (v.21). Si aprì così una strada nel mare, gli israeliti vi passarono e gli egiziani, arrivati lì, furono inghiottiti dal mare.
Cosa possiamo notare in questo passo riguardo l’Angelo dell’Eterno? Innanzitutto vediamo ancora una volta che questo angelo sembra accompagnare Jahvè anche in questo episodio. Dio è con il suo popolo e mette i suoi angeli a disposizione di Mosè. Questo angelo addirittura stava inizialmente davanti all’accampamento d’Israele, ma successivamente si spostò e andò a mettersi dietro di loro. Non si dice altro di questo angelo, che fa una piccola comparsa nel versetto 19 per non comparire più per il resto del capitolo. È importante sottolineare che la Bibbia ci dice che questo angelo camminava davanti all’accampamento d’Israele, quindi doveva essere simile agli uomini, in carne e ossa. Tutti gli angeli veterotestamentari sembrano avere questa caratteristica, come potrai comprendere leggendo tutta la sezione dedicata all’Antico Testamento. Gli angeli nell’Antico Testamento camminano, quindi si sporcano, in alcune occasioni mangiano e in altre si stancano addirittura e hanno bisogno di riposo (lo vedremo meglio con Lot). In questo episodio però le caratteristiche dell’angelo sono poco chiare, tranne un dettaglio: egli non vola, ma cammina.
Giacobbe lotta con l’angelo a Peniel
Torniamo al primo libro della Bibbia, quello della Genesi. Nel trentaduesimo capitolo leggiamo un evento più unico che raro: un uomo, Giacobbe, lotta fisicamente contro un angelo. In realtà, il testo biblico non scrive espressamente che si trattava di un angelo, ma parla di un uomo di Dio. Tutti gli insegnamenti antichi però ci dicono che questo uomo era in realtà un angelo. Possiamo dire con chiarezza che non si tratta del famoso Angelo dell’Eterno, che abbiamo visto nei capitoli precedenti. Questo angelo che lotta con Giacobbe sembra essere di un rango inferiore, ma ciò non è molto chiaro. È evidente il fatto che questo angelo si presenta in carne e ossa, ossia materialmente, perché tra i due inizia una vera e propria lotta fisica: “Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntar dell’alba” (Ge 32,24).
È curioso notare che il testo biblico ci dice che questo angelo/uomo vide che non lo poteva vincere, così assestò un colpo alla cavità dell’anca di Giacobbe e la cavità dell’anca di Giacobbe fu slogata (Ge 32,25). A questo punto iniziò un dialogo tra Giacobbe e l’angelo; quest’ultimo chiese al profeta di lasciarlo andare, ma Giacobbe gli rispose: “Non ti lascerò andare, se non mi avrai prima benedetto!” (Ge 32,26). A questo punto, l’angelo cedette e chiese a Giacobbe il suo nome, dopodiché gli disse che da quel momento in poi si sarebbe chiamato Israele, quindi gli concesse la benedizione. Nella formula della benedizione, notiamo un aspetto importante: l’angelo disse che Giacobbe aveva lottato con Dio e con gli uomini. Inoltre Giacobbe disse: “Ho visto Dio faccia a faccia, e la mia vita è stata risparmiata” (Ge 32,30).
Ci permettiamo di fare un breve commento di questi ultimi versetti considerati. Vediamo che l’angelo viene innanzitutto definito uomo e poi sembra fare le veci di Dio. Sembra infatti che questo angelo sia un maschio, abbia cioè un sesso – elemento importante per le considerazioni sugli angeli nel nuovo testamento. Nel testo biblico infatti la parola uomo qui presente traduce l’ebraico ish, che significa individuo maschio. Persino Jahvè viene in alcune parti del testo definito un ish, quindi non ci dobbiamo stupire del fatto che questo termine sia usato per indicare un angelo.
È importante notare che l’angelo disse che Giacobbe aveva lottato con Dio. Cosa può significare questo? Probabilmente che in quel momento l’angelo era rivestito dell’autorità divina. Egli era lì per fare la volontà di Dio e si era palesato in carne e ossa al profeta. Questo sembra ricevere conferma dal fatto che Giacobbe disse di aver visto Dio faccia a faccia. Questa espressione ci fa pensare a un incontro molto fisico, tangibile, materiale, e non spirituale. Questa lotta sembra non essere spirituale ma fisica soprattutto perché Giacobbe rimane ferito all’anca. Il testo parla chiaro: i due hanno lottato fisicamente e Giacobbe è rimasto ferito. Egli inoltre era alquanto soddisfatto del risultato, perché aveva ricevuto la benedizione agognata e la sua vita era stata risparmiata. Quando il profeta disse: “e la mia vita è stata risparmiata” lascia intendere che l’incontro con l’angelo di Dio doveva essere molto pericoloso. Non sembra essere una creatura di luce e puro amore, essere innocuo e inoffensivo; al contrario, quest’angelo sembra presentarsi come un guerriero dell’esercito divino che viene sfidato da un uomo e si arrende al suo volere.
Concludiamo il commento su questo episodio con una considerazione: i due hanno lottato per molto tempo, ossia fino allo spuntar dell’alba. Questo significa che vi era una certa parità di forza tra Giacobbe e l’angelo, che non riusciva ad andar via. Solitamente vediamo gli angeli come esseri di gran lunga superiori all’uomo, e gli uomini solitamente si sottomettono immediatamente agli angeli, anche con una certa paura. Non è per niente il caso di Giacobbe. Qui eccezionalmente vediamo un uomo che sembra essere all’altezza dell’angelo che ha di fronte. Questa situazione fa sorgere tanti dubbi, ma è veramente difficile trovare risposte, perciò andiamo avanti.
L’Angelo dell’Eterno e Balaam
Facciamo un salto dal libro della Genesi a quello dei Numeri (siamo sempre nel Pentateuco, ossia nei primi cinque libri biblici) per incontrare nuovamente questo caratteristico Angelo dell’Eterno, che si palesa davanti a un profeta chiamato Balaam. Per comprendere la funzione dell’angelo in questa vicenda biblica, dobbiamo fare un piccolo riassunto della storia.
Balaam era probabilmente uno stregone, che però oggi viene considerato dai religiosi come profeta; egli non può essere considerato profeta di Dio, perché non era israelita, requisito indispensabile di tutti i profeti veterotestamentari. Questa storia ha luogo nel tempo del soggiorno degli israeliti nella piana di Moab, a est del fiume Giordano. Il re di Moab, chiamato Balak, allarmato per una situazione di guerra, decide di chiamare Balaam per maledire proprio il popolo di Israele. Dopo un certo periodo di attesa, Balaam decide di seguire i messi del re. Ecco che sul tragitto compare il famoso Angelo dell’Eterno. La Bibbia precisa che l’ira di Dio si accese perché egli era andato per maledire il popolo eletto, così l’Angelo dell’Eterno si pose sulla strada come nemico contro di lui (Nu 22,22). A questo punto leggiamo una cosa strana: l’asina di Balaam riesce a vedere l’angelo, mentre l’indovino no. L’asina si ferma e non segue i comandi del padrone, così lui la colpisce per ben tre volte. Ad un certo punto, è scritto che l’Eterno aperse gli occhi a Balaam, così lui finalmente vide l’angelo e iniziò un dialogo tra i due. L’angelo gli disse: “L’asina mi ha visto e mi ha schivato per ben tre volte; se non mi avesse schivato, io ti avrei certamente ucciso lasciando in vita lei”. Così Balaam si pentì di quello che aveva fatto e chiese perdono all’angelo. Questi gli disse di andare comunque con gli uomini del re di Moab, ma aggiunse: “Ma dirai soltanto quello che io ti dirò.” A questo punto l’angelo scompare dalla scena e continua la storia dell’indovino Balaam, che andrà dal re ma, invece di maledire il popolo di Israele, pronunciò delle benedizioni in favore del popolo eletto, secondo la volontà dell’Angelo dell’Eterno che aveva incontrato.
In questo episodio curioso della Bibbia vediamo eccezionalmente nell’Antico Testamento un angelo che poteva probabilmente essere considerato come essere spirituale. Facciamo questa considerazione perché non ci spieghiamo il fatto che l’asina avesse visto l’angelo e l’indovino no, finché Dio non gli aprì gli occhi. Forse questa apertura degli occhi deve essere intesa come apertura al mondo degli spiriti. È però indubbio che questo Angelo dell’Eterno fosse molto pericoloso e avesse il potere sulla vita e sulla morte. Questo lo comprendiamo dalla sua dichiarazione, secondo cui, se non fosse stato per l’asina, Balaam sarebbe stato da lui ucciso e l’animale sarebbe invece stato risparmiato. Qui vediamo che un animale ottuso come l’asina riesce a comprendere la volontà di Dio, mentre un uomo intelligente come Balaam non ci riesce se non attraverso una dichiarazione esplicita dell’angelo. Questi si presenta come un guerriero che non ha pietà dei suoi nemici, quindi deve assolutamente essere un combattente dell’esercito di Dio, che si pose addirittura come nemico contro di lui, quindi come un avversario, parola che in ebraico sarebbe satan. Nel verso 22 di questo capitolo ventiduesimo leggiamo infatti nella Bibbia originale, quella ebraica, la parola le-satan, che la Bibbia inglese traduce for an adversary, cioè “come avversario”. Non dobbiamo stupirci che niente meno che il famoso Angelo dell’Eterno sia in questo caso chiamato satan (che noi intendiamo erroneamente come Satana). Devi comprendere che, per gli ebrei, la parola satan non indica una persona del male, un re della cattiveria, o cose del genere; questa parola indica semplicemente un avversario, un accusatore, che si pone come nemico di un altro soggetto. Tanto per chiarire il concetto con un esempio semplicissimo, se io tirassi un pugno a mio fratello sarei il suo satan. Questo angelo era assolutamente satan di Balaam, anche perché nel versetto 23 leggiamo che stava sulla strada con la sua spada sguainata in mano. Egli era pronto per colpire il suo nemico, l’indovino Balaam. Gli avrebbe tolto la vita e sarebbe stato considerato suo satan. Le cose comunque sono cambiate in favore di Balaam, che alla fine viene graziato dall’angelo e riceve da lui delle indicazioni per fare la sua volontà. La visione di questo angelo doveva aver sconvolto parecchio l’indovino, il quale, appena vide l’angelo con la spada sguainata, si inchinò e si prostrò con la faccia a terra.
Concludiamo questa vicenda facendo una sintesi delle osservazioni principali circa questo famoso Angelo dell’Eterno:
- Egli deve probabilmente avere un aspetto spirituale o comunque all’inizio sembra essere invisibile, e solo dopo l’intervento di Dio si manifesta concretamente all’uomo;
- Egli deve avere un aspetto terrificante, deve essere un soldato molto forte e temuto, che si presenta con una spada sguainata;
- Egli viene nel testo chiamato espressamente satan, perché in questo episodio si pone come avversario e nemico di Balaam.
L’Angelo dell’Eterno chiama Gedeone
Lasciamo il Pentateuco (anche se ci ritorneremo presto) e andiamo nel libro dei Giudici. Nel capitolo sesto di questo libro leggiamo di una vicenda importante: la vocazione di Gedeone, uomo valoroso che diventerà giudice d’Israele. Questo libro si apre dichiarando che, in quel periodo, i figli d’Israele fecero ciò che è male agli occhi dell’Eterno, e l’Eterno li diede nelle mani di Madian per sette anni (Gc 6,1). Presentata questa situazione negativa, la Bibbia ci dice che l’Angelo dell’Eterno apparve a un uomo chiamato Gedeone, mentre questi batteva il grano nello strettoio, per sottrarlo ai Madianiti. L’angelo iniziò il dialogo con una dichiarazione molto importante: “L’Eterno è con te, o guerriero valoroso!”. Gedeone sembra molto stupito da questa affermazione dell’angelo, tanto che iniziò a porgli una serie di quesiti. Egli chiese all’angelo come mai Israele viveva quella condizione difficile se l’Eterno era con loro. Egli disse chiaramente: “L’Eterno ci ha abbandonato e ci ha dato nelle mani di Madian”. A questo punto l’angelo sembra sparire e compare subitaneamente la figura di Dio stesso. Nel testo ebraico compare a questo punto il nome di Jahvè. Fino a questo momento era l’Angelo di Jahvè a parlare con Gedeone, ma adesso interviene Jahvè in persona. Questi disse a Gedeone che lo avrebbe aiutato a sconfiggere i madianiti. Poi avvenne un episodio particolare: Gedeone preparò carne e focacce per Dio. Dunque, al versetto 21, leggiamo: “Allora l’Angelo dell’Eterno stese la punta del bastone che aveva in mano e toccò la carne e le focacce azzime; e dalla roccia salì un fuoco che consumò la carne e le focacce azzime; poi l’Angelo dell’Eterno scomparve dai suoi occhi.” Il testo continua dicendo che solo a questo punto Gedeone si rese conto di aver avuto a che fare con l’Angelo dell’Eterno, così si spaventò e fu molto preoccupato, perché aveva visto l’Angelo dell’Eterno faccia a faccia. Qui finisce la storia della vocazione di Gedeone e continua il racconto biblico sulla sua impresa – che non possiamo presentare in questa sede.
Fermiamoci ora a riflettere su alcuni punti importanti di questo episodio. Dobbiamo dire che c’è un fenomeno molto curioso che è stato ultimamente tanto discusso dagli studiosi. Stiamo parlando del “misterioso” bastone che ha l’angelo col quale dà fuoco alla carne e alle focacce. Alcuni studiosi ci dicono che questo è un segno di una tecnologia avanzata presente a quei tempi. Questa teoria è collegata alla teoria degli antichi astronauti, secondo cui Jahvè sarebbe uno degli Elohim (dèi) venuti sulla Terra per conquistarla e prendere le risorse utili per il loro sistema, come ad esempio l’oro, molto utile per la tecnologia. Dunque questi teorici ricercano dei punti biblici in cui si possono trovare tracce di tecnologia e questo punto è uno tra questi. Ripetiamo il fatto che non ci permettiamo né di screditare né di avallare questa teoria, ma vogliamo essere molto sinceri nel riportare tutte le informazioni che oggi sappiamo relativamente agli angeli che figurano nella Bibbia. Sarai poi tu lettore a selezionare le informazioni che ritieni utili da quelle che ritieni infondate.
Ritorniamo all’episodio di Gedeone e dell’Angelo dell’Eterno. C’è un altro dettaglio che vogliamo commentare prima di andare avanti. Abbiamo notato che ad un certo punto c’è una specie di sostituzione tra l’Angelo dell’Eterno e l’Eterno stesso. Inizialmente infatti è l’angelo a presentarsi a Gedeone e a iniziare il dialogo con l’uomo; ma ad un tratto compare istantaneamente e sorprendentemente il nome di Jahvè, che parla direttamente con Gedeone. Cosa sarà accaduto? Possiamo pensare che Dio era sin da subito con il suo fidato angelo, il quale ha parlato per primo per poi introdurre Dio. Possiamo anche pensare che l’angelo abbia parlato in nome e per conto di Dio, quindi ad un certo punto la sua parola era letteralmente Parola di Dio. Diciamo che queste due ipotesi seguono una chiave di lettura diversa: la prima più materiale, la seconda più spirituale. Scegli tu quella che ritieni più corretta. Noi non vendiamo verità, ma dubbi. Ciò perché siamo convinti che il dubbio sia una forma di intelligenza. Detto questo, andiamo avanti.
L’Angelo dell’Eterno annuncia la nascita di Sansone
Siamo sempre nel libro dei Giudici, nel capitolo tredicesimo. Qui leggiamo che gli israeliti tornarono di nuovo a fare ciò che era male agli occhi dell’Eterno, e l’Eterno li diede nelle mani dei Filistei per quarant’anni (v.1). La Bibbia ci dice che vi era un uomo chiamato Manoà che aveva una moglie sterile, quindi questa coppia non aveva figli. Nel terzo versetto leggiamo: “L’Angelo dell’Eterno apparve a questa donna”, e le annunciò la nascita di un figlio. Le fece anche delle raccomandazioni: le dice di non bere bevanda alcolica e di non mangiare cibi impuri. Aggiunge poi una cosa importante: il figlio dovrà essere consacrato, dovrà essere un Nazireo e sulla sua testa non deve passare rasoio. E conclude dicendo: “Egli comincerà a liberare Israele dalle mani dei Filistei”.
La donna rimase alquanto terrorizzata da questa visione, perché la Bibbia ci dice che andò subito a chiamare il marito e gli disse che un uomo di Dio era andato da lei e lo descrive dicendo: “Il suo aspetto era come l’aspetto dell’Angelo di Dio, veramente spaventevole”. Dunque la donna riferì al marito quello che l’angelo le aveva annunciato. Manoà era alquanto scettico e pregò Dio affinché l’angelo tornasse nuovamente, perché voleva vederlo con i propri occhi. L’angelo tornò dalla donna, quando suo marito non era con lei, così lei lo andò a chiamare e finalmente Manoà fu di fronte all’Angelo dell’Eterno. Iniziò a interrogarlo sull’annuncio del bambino che sarebbe nato e poi gli chiese il nome. L’angelo rispose in un modo molto velato: “Perché mai chiedi il mio nome? Esso è meraviglioso”. Poi l’uomo offrì un olocausto a Dio ed avvenne un fenomeno sovrannaturale: “Come la fiamma saliva sull’altare al cielo, l’Angelo dell’Eterno salì con la fiamma dell’altare. Al vedere questo, Manoà e sua moglie caddero con la faccia a terra”. Poi il testo chiarisce che “l’Angelo dell’Eterno non apparve più né a Manoà né a sua moglie”. Solo a questo punto Manoà si rese conto che quello era l’Angelo dell’Eterno e disse alla moglie: “Noi moriremo certamente, perché abbiamo visto Dio”. Ma la moglie rispose che non sarebbero morti, perché se Dio voleva ucciderli non avrebbe fatto per loro tutto ciò. Quindi il capitolo si conclude dicendo che “la donna partorì un figlio a cui pose nome Sansone. Il bambino crebbe e l’Eterno lo benedisse.”
Questo capitolo presenta due dettagli molto importanti che ci aiutano a comprendere meglio questa figura mistica dell’Angelo dell’Eterno. Innanzitutto è importante notare che la donna, quando descrive la visione al marito, dice che l’Angelo di Dio è veramente spaventevole. Ancora una volta, vediamo che la credenza dei nostri tempi, secondo cui gli angeli sarebbero inoffensivi e docili, è completamente sbagliata. La visione dell’Angelo dell’Eterno terrorizza la donna e, dopo, anche il marito. Quando infatti l’uomo, verso la fine del capitolo, realizza di aver visto l’Angelo dell’Eterno crede che certamente morirà insieme alla moglie, e dice: perché abbiamo visto Dio. Questo significa che vedere questo angelo importante era come stare al cospetto di Dio. Ciò potrebbe voler dire che trattasi di un angelo di rango molto alto, che rappresenta personalmente Dio.
Il secondo dettaglio importante è il fenomeno soprannaturale che avviene al momento dell’olocausto. L’angelo compie una specie di miracolo, che spaventa la coppia: salì con la fiamma dell’altare. L’angelo ascende al cielo attraverso il fuoco. Questo episodio è veramente difficile da spiegare, perché ci è difficile realizzare cosa sia accaduto. Forse l’angelo è asceso in forma spirituale o forse è salito al cielo in forma materiale, con tutto il corpo fisico col quale si era presentato. Questo non è chiaro dal testo. Nel capitolo leggiamo solo la reazione della coppia: caddero entrambi con la faccia a terra. Ciò significa che rimasero impressionati da questo gesto dell’angelo. Proprio non se lo aspettavano. Solo dopo tutti questi eventi leggiamo che l’uomo si rese conto che quello era l’Angelo dell’Eterno. Sembra quindi che inizialmente Manoà pensasse di parlare ad un altro uomo come lui. Questo potrebbe voler dire che questo angelo fosse umanoide, cioè presentasse caratteristiche simili al genere umano. Questa particolarità degli angeli è molto chiara nell’Antico Testamento. I malachim (termine ebraico con cui si designano gli angeli) biblici sono simili agli uomini, ma al contempo sono simili anche a Dio. Infatti Manoà dirà di aver visto Dio.
Lot riceve due angeli in casa
Ritorniamo al primo libro della Bibbia, la Genesi, e consideriamo un episodio molto particolare: due angeli si presentano a Lot, nipote di Abramo. Lot si era separato dallo zio Abramo e dimorava a Sodoma. Dunque, verso sera, “due angeli giunsero a Sodoma” (Ge 19,1). Lot riconobbe subito che erano esseri sovrannaturali, perché, appena li vide, si prostrò con la faccia a terra. Poi li invitò a casa sua e qui leggiamo dei dettagli importanti: Lot dice loro di lavarsi i piedi, dormire e passare la notte e poi il giorno dopo ripartire. Il testo dice che lui insistette così tanto che gli angeli lo accontentarono. Ma ci fu un imprevisto: durante la notte i sodomiti volevano fare violenza ai due angeli. Lot propose a questi uomini di violentare le sue due figlie, ma di lasciar in pace gli angeli. Ad un certo punto, i due angeli intervengono e fanno qualcosa di soprannaturale: rendono ciechi tutti quegli uomini cattivi. La Bibbia è precisa al riguardo: “Colpirono quindi di cecità la gente che era alla porta della casa, dal più piccolo al più grande, cosicché si stancarono nel tentativo di trovare la porta”.
Dopo questi eventi, i due angeli dissero a Lot e alla sua famiglia di abbandonare quella città, perché: “l’Eterno ci ha mandati a distruggerlo” dicono. Quando Lot e la sua famiglia si avviarono lungo il cammino, uno degli angeli disse loro di non guardare indietro e di non fermarsi in alcun luogo della pianura. Quando Lot raggiunse una certa distanza, leggiamo che Dio decise di intervenire personalmente: “Allora l’Eterno fece piovere dal cielo su Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco”. Sappiamo che la moglie di Lot disubbidì all’ordine dell’angelo, si voltò indietro e divenne una statua di sale.
Commentare questo passo è veramente difficile, perché le vicende accadute a casa di Lot sono tanto inspiegabili. Innanzitutto è difficile capire perché Lot fosse disposto a far violentare le sue due figlie al posto dei due angeli. Si parla di una certa venerazione nei confronti dei rappresentanti di Dio, ma non c’è moralità nel dare le proprie figlie ad una folla di rivoltosi. Questa scelta di Lot è molto criticata dagli studiosi e dai ricercatori, ma noi non esprimiamo giudizi; ci limitiamo a sottolineare il fatto aberrante. È curioso cercare di comprendere come i due angeli abbiano accecato di sodomiti. Qualcuno dice che questi angeli fossero dotati di una tecnologia militare avanzata; ciò perché oggi sono stati inventati aggeggi che hanno proprio la funzione di accecare momentaneamente il nemico. La versione ovviamente più diffusa è quella di un miracolo, che – come tutti i miracoli – non può essere spiegato razionalmente. Questi angeli inoltre sembrano essere molto amichevoli nei confronti di Lot e della sua famiglia, ma al contempo dovevano essere molto forti e tremendi, perché loro stessi dichiarano di essere stati mandati a distruggere le città di Sodoma e Gomorra. Ecco che vien fuori l’aspetto terribile degli angeli mandati da Dio: essi sono i suoi rappresentati, pronti a premiare e a punire. Gli angeli biblici non sono solo dei messaggeri, ma sono anche dei guerrieri; lo vediamo bene in questo episodio. Essi sono in grado di colpire sia i rivoltosi, in modo più lieve, sia tutta la città, in modo talmente potente che persino la moglie di Lot perse la vita. Lei ha disubbidito all’ordine dell’angelo e ha pagato con la vita. Ancora una volta si palesa l’aspetto punitivo di questi angeli. Chi trasgredisce le loro regole fa una brutta fine. Dunque questi due angeli che si presentano a Lot sembrano essere amichevoli solo con lui e la sua famiglia, ossia con coloro che Dio ha deciso di proteggere, ma non c’è pietà per la trasgressione dell’ordine divino.
L’angelo che stava per distruggere Gerusalemme
Andiamo nei libri storici, in particolare nel secondo libro di Samuele, il profeta di Dio. Qui leggiamo un episodio curioso: un angelo fu mandato da Dio per castigare il popolo eletto. La Bibbia ci dice che innanzitutto l’Eterno mandò la peste in Israele (2Sam 24,15). Il versetto successivo ci fa capire che c’era un angelo portatore di questo castigo che però fu fermato da Dio prima che distruggesse completamente Gerusalemme: “Come l’angelo stendeva la sua mano su Gerusalemme per distruggerla, l’Eterno si rammaricò di quella calamità” e disse all’angelo di fermarsi.
Cosa possiamo notare da questa breve vicenda? Innanzitutto quest’angelo non è il famoso Angelo dell’Eterno, ma deve trattarsi di un altro soggetto. Potremmo pensare all’angelo della morte, anche perché la Bibbia ci dice che morirono settantamila persone a causa di questo castigo. Secondo la Cabala, l’angelo del castigo di Dio è Samael (che vedremo più avanti), ed è dunque probabile che questo sia stato proprio un suo intervento.
Altra cosa importante che possiamo notare è che l’angelo qui è un soggetto spietato e distruttore. Ancora una volta, vediamo come nell’Antico Testamento gli angeli non siano esseri di solo amore che annunciano buoni messaggi; siamo di fronte a un punitore e distruttore che ha scatenato la peste tra il popolo di Israele e ha fatto morire settantamila persone. Se accadesse una cosa del genere ai nostri tempi, sicuramente più di qualcuno parlerebbe di Apocalisse e fine del mondo.
Ultima considerazione che possiamo fare è che l’angelo avrebbe ucciso tutti e distrutto interamente Gerusalemme se non fosse stato fermato da Dio. Leggiamo infatti che Dio, dopo aver mandato l’angelo della morte o comunque l’angelo del castigo, si rammaricò di quella calamità, quindi vediamo una specie di pentimento di Dio. Fu il Signore a fermare l’angelo, il quale non aveva nessuna pietà per coloro che venivano puniti. Ancora una volta, vediamo un angelo che punisce le trasgressioni dei peccatori senza alcuna pietà.
L’Angelo dell’Eterno aiuta Elia
Nel primo libro dei re leggiamo la storia del profeta Elia, il quale sconfisse dei profeti avversari e successivamente fu costretto a scappare dal re Achab e dalla tremenda regina Jezebel che lo volevano morto. Dunque la Bibbia ci dice che il profeta affrontò un lungo cammino tutto solo e soffrì molto, tanto da pregare Dio affinché prendesse la propria vita. Dopo questa triste preghiera, si addormentò: “Ma ecco un angelo lo toccò e gli disse: Alzati e mangia” (1Re 19,5). Elia vide al suo fianco del cibo, in particolare una focaccina cotta su delle pietre calde e una brocca d’acqua. Dunque mangiò e bevve, per poi tornare a riposare. La Bibbia poi ci dice: “L’Angelo dell’Eterno tornò una seconda volta, lo toccò e disse: Alzati e mangia, poiché il cammino è troppo lungo per te” (1Re 19,7). Elia ubbidì all’angelo e, grazie a quel nutrimento, riuscì a camminare per quaranta giorni e quaranta notti, finché arrivò al monte di Dio, l’Horeb.
Questo passo è solo un breve stralcio della storia del profeta Elia, un uomo tanto importante per la storia di Israele. Egli ricevette l’aiuto dell’Angelo dell’Eterno per compiere questo lungo viaggio fino al monte di Dio. Cosa possiamo notare in questo brano? Non abbiamo molte informazioni sull’angelo, ma vediamo che questi probabilmente preparò da mangiare a Elia. Il cibo che il profeta trovò viene perfettamente descritto nel testo. Su questo punto, abbiamo – come al solito – due tesi: una materialista e una spiritualista. Secondo la prima, l’angelo sarebbe stato un uomo in carne e ossa che si prese cura del profeta, cucinando per lui e provvedendo ai suoi bisogni. Secondo l’altra tesi, l’angelo fu solo una manifestazione della presenza di Dio nella vita del profeta e, probabilmente, il cibo fu “materializzato” secondo una specie di miracolo. In effetti è difficile pensare che un uomo/angelo avesse fatto un viaggio con una brocca d’acqua in mano e una focaccina; ma probabilmente la storia è fatta di dettagli che non troviamo nel testo alquanto sintetico. In ogni caso, l’angelo qui viene in aiuto del profeta, manifesta dunque l’amore di Dio per il suo diletto, l’uomo che portava il suo messaggio al popolo. L’Angelo dell’Eterno questa volta si presenta con un aspetto alquanto materno, accogliente e protettivo; egli ci tiene alla salute di Elia e lo aiuta ad affrontare un cammino lunghissimo.
L’Angelo dell’Eterno fa una strage di Assiri
Andando avanti nella lettura dei libri storici, ritroviamo l’Angelo dell’Eterno, il quale si presenta in modo molto diverso da come lo abbiamo visto con il profeta Elia; ma comunque il suo comportamento è in linea con l’immagine che abbiamo tracciato di lui. Egli era una specie di soldato, un militare o qualcosa del genere. Sapeva aiutare e prendersi cura degli eletti di Dio, ma era anche in grado di uccidere e distruggere senza alcuna pietà. Questo suo secondo aspetto è ben visibile nel testo che stiamo per presentare. Siamo nel secondo libro dei Re, al capitolo 19. Il re di Israele era Ezechia e veniva assistito dal profeta Isaia, altro personaggio importante nella storia d’Israele. Ezechia, Isaia e Israele erano minacciati da Sennacherib, re di Assiria. Isaia un giorno andò dal suo re e gli disse di non preoccuparsi, perché Dio si era pronunciato e aveva detto che gli Assiri erano oggetto di disprezzo; essi non sarebbero mai entrati nella città di Gerusalemme, la quale era protetta dall’esercito di Dio. Dunque avvenne un evento memorabile: “Quella notte avvenne che l’angelo dell’Eterno uscì e uccise nell’accampamento degli Assiri centottantacinquemila uomini; quando la gente si alzò al mattino, ecco, erano tutti cadaveri” (2Re 19,35). Così il re Sennacherib si spaventò e fece ritorno a casa con i superstiti.
In questo passo vediamo all’opera il Signore degli eserciti, il Dio punitore e distruttore, che spesso vediamo all’azione nell’Antico Testamento. Egli ovviamente si serve dei suoi eserciti, gli angeli, per punire e uccidere gli avversari del suo popolo. Qui vediamo una vera e propria strage di uomini. Essi venivano addirittura disprezzati da Dio, il quale mandò il suo angelo a sterminarli. Cosa possiamo notare dell’angelo? Innanzitutto c’è un’anomalia nel testo. Solitamente questo personaggio viene presentato come l’Angelo dell’Eterno con la A maiuscola, ma questa volta leggiamo l’angelo con la A minuscola. Sembra un dettaglio di poco conto, ma forse non è così. I teologi infatti ci dicono che quando leggiamo nell’Antico Testamento l’Angelo dell’Eterno (con la A maiuscola) siamo di fronte a una teofania, ovvero una vera e propria apparizione di nostro Signore Cristo Gesù. In questo caso, essendoci un’anomalia nel testo tradotto, non possiamo parlare di teofania. Onestamente però questo ci sembra un cavillo, perché nel testo originale ebraico non c’è alcuna differenza tra lettere maiuscole o minuscole. Quindi riteniamo che questo angelo sia il solito Angelo dell’Eterno, che in questa occasione si mostra come punitore e castigo di Dio. Egli non ha pietà degli uomini Assiri, i quali probabilmente furono tutti uccisi nel sonno. Il re Sennacherib fu risparmiato, ma solo temporaneamente, perché nello stesso capitolo, alla fine, leggiamo che, quando tornò a casa, fu ucciso dai suoi stessi figli. Quindi possiamo dire che il re straniero e il suo popolo furono maledetti da Dio e severamente puniti. Strumento di questa maledizione fu l’Angelo dell’Eterno, un essere forte e spietato, capace di uccidere in una sola notte ben centottantacinquemila uomini.
Un angelo salva la vita dei compagni di Daniele
Facciamo un salto nei libri profetici, in particolare in quello del profeta Daniele. Egli fu portato in Babilonia insieme a tre compagni (e ovviamente insieme al popolo di Israele). Il re babilonese eresse un’immagine d’oro e ordinò che tutti dovevano inchinarsi ad essa in segno di adorazione. Egli disse anche: “Chiunque non si prostrerà per adorare, sarà subito gettato in mezzo a una fornace di fuoco ardente” (Da 3,6). Ebbene, i tre compagni di Daniele, fedeli servitori di Dio, non si prostrarono dinanzi a questo idolo, così furono gettati nella fornace ardente. Essi avevano fede che il proprio Dio aveva il potere di liberarli persino dalla fornace, quindi accettarono il proprio destino. Allora il re fu indispettito e fece riscaldare la fornace al massimo, tanto che gli uomini che gettarono questi tre israeliti fedeli rimasero uccisi, ma miracolosamente i compagni di Daniele rimasero illesi. Avvenne anche una stranezza: il re babilonese disse di vedere quattro uomini nella fornace e aggiunse: “L’aspetto del quarto è simile a quello di un figlio di Dio”. Dunque i tre compagni uscirono dalla fornace illesi. Il testo ci dice chiaramente che “neppure l’odore di fuoco si era posato su di loro”. Così il re di Babilonia elevò una benedizione per i tre compagni di Daniele e disse chiaramente: “Benedetto sia il Dio di Shadrak, Meshak e Abed-nego, che ha mandato il suo angelo e ha liberato i suoi servi, che hanno confidato in lui; hanno trasgredito l’ordine del re e hanno esposto i loro corpi alla morte, piuttosto che servire e adorare altro dio all’infuori del loro” (Da 3,28).
Cosa possiamo notare da questo passo biblico? Ebbene, dinanzi a questo evento cade totalmente la tesi materialista, perché siamo dinanzi a un evidente fenomeno spirituale. Il quarto uomo, l’angelo nella fornace, appare come una specie di spirito, ghost o fantasma; egli rappresenta la presenza di Dio e la protezione di Dio per i suoi diletti. Molti cristiani vedono qui una teofania, ossia un’apparizione di Gesù Cristo, perché leggiamo che il re babilonese disse che questo quarto uomo aveva l’aspetto di un figlio di Dio e tutti sappiamo che Gesù è il figlio di Dio. Fu Gesù a dire di essere (IO SONO) prima che Abramo fosse nato (Gv 8,58). Riteniamo quindi che questa teoria teologica sia abbastanza giustificata. Non erriamo se pensiamo che il quarto uomo nella fornace, chiamato angelo, fosse addirittura Gesù Cristo, quindi Dio stesso, l’unigenito figlio di Dio.
L’angelo che salva Daniele
Rimaniamo nel libro del profeta Daniele e andiamo al capitolo VI, che si apre dicendo che a quel tempo il re di Babilonia era Dario. Questi aveva tre prefetti, di cui uno era Daniele. La Bibbia ci dice che “Daniele eccelleva sugli altri prefetti e satrapi, perché in lui c’era uno spirito superiore” (Da 6,3). Per questo, gli altri responsabili del governo erano molto gelosi di Daniele, tanto che convinsero il re Dario a promulgare una legge secondo cui, per trenta giorni, chiunque avrebbe rivolto una richiesta a qualsiasi dio o uomo all’infuori del re sarebbe stato gettato nella fossa dei leoni. Il re Dario firmò il documento e la legge entrò in vigore. Ebbene, Daniele fu visto mentre pregava il suo Dio e i governatori gelosi convinsero il re Dario a gettare Daniele nella fossa dei leoni.
È curioso il fatto che il re Dario stesso fece una specie di profezia, perché disse a Daniele: “Il tuo Dio, che tu servi del continuo, sarà egli stesso a liberarti” (Da 6,16). Dunque Daniele trascorse tutta la notte nella fossa dei leoni affamati. Il re Dario era dispiaciuto di questo fatto, non voleva perdere il suo elemento migliore, così durante la notte digiunò e non fu portato davanti a lui alcun musicista. La mattina successiva il re si svegliò presto e andò alla fossa dei leoni e miracolosamente Daniele era sano e salvo. Il profeta disse subito al re: “Il mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso le bocche dei leoni, ed essi non mi hanno fatto alcun male, perché sono stato trovato innocente davanti a lui” (Da 6,22). Daniele fu subito tirato fuori dalla fossa e il re ordinò di gettare nella fossa dei leoni gli uomini che avevano accusato Daniele. Il testo ci dice che “prima ancora che giungessero in fondo alla fossa, i leoni furono loro addosso e stritolarono tutte le loro ossa” (Da 6,24). Alla fine re Dario dichiarò che il Dio di Daniele era il Dio vivente, che sussiste in eterno.
Questa vicenda è interessante nel suo complesso, ecco perché l’abbiamo presentata interamente. È importante capire come sia intervenuto questo angelo liberatore. Purtroppo non abbiamo informazioni relative alla tipologia d’intervento o alle sue caratteristiche. Il testo ci dice semplicemente che Daniele dichiarò che un angelo era intervenuto in suo favore per “chiudere” le bocce dei leoni. Questi leoni erano molto aggressivi e affamati, tanto che gli uomini che furono gettati dopo il profeta furono immediatamente sbranati. In questo caso, possiamo chiederci: trattasi di un fenomeno angelico materiale o spirituale? A noi sembra un fenomeno spirituale, perché la fossa era chiusa con un masso e non risulta che qualcuno sia entrato oltre a Daniele. Questa sembra una vera apparizione angelica, un angelo inteso come essere spirituale è intervenuto per placare i leoni. Trattasi di un vero miracolo documentato. Daniele era spacciato e tutti pensavano che sarebbe morto; stranamente, fu solo il re Dario a confidare nel Dio vivente del profeta. Infatti alla fine del capitolo leggiamo una specie di dichiarazione di fede. Infine possiamo notare che Daniele, nella sua dichiarazione al verso 22, dice che l’angelo di Dio è intervenuto perché era stato trovato innocente. Questo significa che l’intervento angelico in suo favore era un segno della giustizia divina. In base a questa dichiarazione del profeta, dobbiamo pensare che difficilmente un angelo aiuterebbe una persona colpevole; l’angelo di Dio è al fianco delle anime buone e innocenti.
L’Angelo dell’Eterno dinanzi al tribunale divino
Ritorniamo a parlare di questo famoso Angelo dell’Eterno. Troviamo il suo intervento nel libro del profeta Zaccaria, al capitolo III. Il profeta ebbe una visione del sommo sacerdote Giosuè “che stava ritto davanti all’angelo dell’Eterno, e Satana che stava alla sua destra per accusarlo” (Zac 3,1). L’angelo ordinò agli uomini di togliere a Giosuè le sue vesti sudicie, per poi dire all’uomo di averlo purificato dalla sua iniquità. Gli disse anche che gli avrebbe fatto indossare abiti magnifici. Così Giosuè fu rivestito e gli fu messo sul capo un turbante puro. Infine leggiamo la dichiarazione dell’angelo, secondo cui se il sommo sacerdote avesse seguito la legge di Dio sarebbe stato grandemente benedetto.
In questo passo biblico vediamo un’immagine interessante: un tribunale divino. In questo tribunale, Dio è il giusto giudice, l’angelo l’avvocato e Satana il pubblico ministero, l’accusatore. Questa immagine viene ripresa nel Nuovo Testamento, dove leggiamo che Gesù Cristo è il nostro avvocato, che difende la nostra causa davanti al tribunale di Dio. Alcuni studiosi dunque associano ancora l’Angelo dell’Eterno a Gesù, perché in questo passo leggiamo che i due hanno la stessa funzione. L’Angelo dell’Eterno difende la causa del sommo sacerdote e ha persino il potere divino di perdonare i suoi peccati e di purificarlo. Egli gli fa togliere le vesti sudicie, simbolo del peccato, e lo riveste della gloria di Dio. Satana in questo passo sembra non avere molta importanza, perché il vero protagonista del racconto è l’Angelo dell’Eterno.
L’angelo che spiega la visione di Zaccaria
Il profeta Zaccaria ebbe molto a che fare con gli angeli, infatti nel capitolo VI leggiamo di una sua visione spiegata da un angelo. Il profeta vide quattro carri che uscivano di mezzo a due monti. Nel primo carro vi erano cavalli rossi, nel secondo cavalli neri, nel terzo cavalli bianchi e nel quarto cavalli chiazzati. Dopo aver visto ciò, inizia un dialogo con un angelo: il profeta chiesa all’angelo cosa significasse questa visione. L’angelo diede una risposta interessante: “Questi sono i quattro spiriti del cielo che escono dopo essere stati alla presenza del Signore di tutta la terra” (Zac 6,5).
Commentiamo brevemente questo passo. Più che comprendere le caratteristiche di questo angelo, dobbiamo comprendere la sua rivelazione. Vediamo come l’angelo conosce i segreti che appartengono al mondo divino e li rivela al suo diletto. Questa immagine ci sembra quella di due amici, il profeta e l’angelo, che commentano un’opera di Dio. Il profeta sembra essere in confidenza con l’angelo, il quale non gli nasconde la verità. È sicuramente difficile comprendere cosa l’angelo intendesse per quattro spiriti del cielo. Solitamente si parla di sette spiriti che sono alla presenza di Dio; ma in questo caso gli spiriti sono quattro e vanno in direzioni diverse (ciò è spiegato dall’angelo nei versetti successivi). Quello che possiamo notare da questo piccolo passo è che gli angeli di Dio sono disposti a rivelare le verità divine agli uomini eletti.
Gli angeli di Dio custodiscono i fedeli
Vogliamo concludere la sezione dedicata all’Antico Testamento con un Salmo molto importante, il Salmo 91. Il libro dei Salmi è molto antico, perciò non dev’essere sottovalutato, perché anche queste parole sono ispirate da Dio. Il Salmo 91 è abbastanza poetico e si apre dichiarando: “Chi dimora nel riparo dell’Altissimo, riposa all’ombra dell’Onnipotente”. Ad un certo punto, il Salmo sembra parlare al lettore e dice che l’uomo che confida in Dio sarà sempre protetto. Al versetto 11 leggiamo: “Egli comanderà ai suoi angeli di custodirti in tutte le tue vie. Essi ti porteranno nelle loro mani, perché il tuo piede non inciampi in alcuna pietra”. Questo versetto è diventato molto famoso, perché nei Vangeli leggiamo che Satana usò proprio queste parole per tentare Gesù, dicendogli di gettarsi dal pinnacolo del tempio perché tanto gli angeli di Dio lo avrebbero salvato. Gesù rispose di non tentare Dio.
Cosa possiamo notare dalle parole del Salmo? Innanzitutto gli angeli sono antropomorfi, perché si parla di mani. Questo linguaggio potrebbe anche essere simbolico, perché l’uomo non sa come definire certi concetti, quindi si aiuta con gli elementi che conosce. Infatti anche Dio è spesso antropomorfo: si parla spesso in tutta la Bibbia della mano di Dio. A parte ciò, questo passo sembra parlare di angeli custodi, ovvero di esseri che hanno la funzione di proteggere gli uomini. L’insegnamento sugli angeli custodi però è molto più complicato di quello che si può immaginare. I cristiani protestanti infatti non credono nella dottrina dell’angelo custode. Essi dicono che solo in alcuni momenti gli angeli ricevono il comando divino di intervenire in favore dell’uomo; ma non sono sempre lì a proteggerlo. Il fatto è complesso perché ci si domanda cosa accada nel caso di un incidente. Se io faccio un incidente stradale e finisco in ospedale, forse il mio angelo custode si è distratto? Forse era occupato e non era in grado di intervenire? Rispondere a queste domande non è così semplice. Se tutti abbiamo un angelo custode che ci protegge, perché siamo spesso esposti al pericolo? La questione è sempre la stessa: il problema del male. Se abbiamo un Dio che ci ama e mette i suoi angeli intorno all’uomo, perché l’uomo spesso subisce il male? Ovviamente non siamo in grado di dare una risposta a questi quesiti, ma ti invitiamo a fare una profonda riflessione. Credere che ci sia un angelo custode, una specie di Guida, è un atto di fede. Il Salmo 91 sembra dunque rincuorare i fedeli e dice loro che Dio comanda ai suoi angeli di custodirci in tutte le nostre vie, ovvero in tutte le situazioni di vita.
[1] Il Talmud è un testo fondamentale dell’ebraismo rabbinico, una raccolta degli insegnamenti biblici dei rabbini. Il Talmud, per gli ebrei, è secondo solo alla Bibbia.
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