Studio di Salvatore Marinò 

 

Gli angeli nella tradizione cristiana dello pseudo-Dionigi l’Areopagita

Premessa iniziale

Nel V secolo d.C. si diffuse nel mondo cristiano un’opera intitolata “De coelesti Hierarchia”, ossia “Gerarchia celeste”. Questo testo si diceva che fosse stato scritto da Dionigi l’Areopagita, filosofo che viene citato nel libro degli Atti e che ha conosciuto l’apostolo Paolo. All’inizio si pensava che queste fossero rivelazioni fatte da san Paolo a Dionigi, così il testo influenzò la Scolastica e tutto il pensiero cristiano successivo. Successivamente si è scoperto che lo scrittore del testo non può essere il Dionigi del libro degli Atti che ha conosciuto Paolo, quindi l’autore è stato definito lo pseudo-Dionigi, cioè possiamo dire il “finto” Dionigi. Il fatto è che quando si è scoperto ciò, il testo e i suoi insegnamenti si erano già ampiamente diffusi e accolti dalla Chiesa Cattolica. Dunque oggi ci sono giunti questi insegnamenti sugli angeli che sono molto importanti per tutto il mondo cristiano, sebbene la loro origine sia alquanto sconosciuta.

Gerarchia celeste

Lo pseudo-Dionigi l’Areopagita ci dice che gli angeli sono suddividi in tre triadi:

  1. La triade superiore è composta da serafini, cherubini e troni;
  2. La triade mediana è composta da dominazioni, virtù e potestà;
  3. La triade inferiore è composta da principati, arcangeli e angeli.

Prima di presentare le caratteristiche di questi cori angelici, l’autore definisce la gerarchia in questo modo: “Secondo me, la gerarchia è nello stesso tempo ordine, scienza e azione, conformandosi, per quanto è possibile, agli attributi divini, e riproducendo, per mezzo dei suoi splendori originali, una espressione delle cose che sono in Dio.”

Quindi la gerarchia degli angeli è un riflesso degli attributi divini, ossia ci parla di Dio, delle sue qualità e del suo mondo spirituale. Così l’autore aggiunge: “Il fine della gerarchia è dunque di assimilarci e di unirci a Dio che essa adora come signore e guida della sua scienza e delle sue sante funzioni”. E subito dopo: “Così, sotto questo nome di gerarchia s’intende una certa disposizione ed ordine santo, immagine della bontà increata, che celebra nella sua propria sfera, con il grado di potere e di scienza che gli compete, i misteri illuminatori, e si sforza di ricopiare con fedeltà il suo principio originale”.

Fatta questa premessa, l’autore approfondisce il concetto di “angeli” in generale. Egli insegna che tutte le creature partecipano di Dio e che gli angeli sono chiamati a una partecipazione più alta, e incaricati di trasmettere agli esseri inferiori i segreti divini. Lo pseudo-Dionigi è convinto che Dio non si è mai manifestato nella purezza della sua essenza, ma sempre sotto il velo di simboli creati. L’autore ci dice poi che Dio solo conosce esattamente ciò che concerne gli ordini angelici: “I misteri che concernono queste pure intelligenze e la loro sublime santità, non sono cose accessibili all’uomo, a meno che non si sostenga che, con la permissione di Dio, gli angeli ci abbiano insegnato le meraviglie che essi contemplano in loro stessi”.

Scritti ben sei capitoli introduttivi, l’autore passa all’analisi dei nove cori angelici, i quali, come abbiamo già detto, vengono da lui divisi in tre grandi triadi. Egli parte dalla triade superiore, composta da serafini, cherubini e troni. Prima di spiegare le qualità di questa prima gerarchia, lo pseudo-Dionigi ci dice che “ogni nome dato alle intelligenze celesti è il segno delle proprietà divine che le distinguono”. Dice anche che la parola “serafini” significa luce e calore; la parola “cherubini” significa invece pienezza di scienza e sovrabbondanza di saggezza. Dei serafini dice che hanno trasporto per le cose divine, essi bruciano di amore per Dio e hanno la qualità “di ricevere e di comunicare la luce e di dissipare ed abolire ogni oscurità, ogni tenebra”. I cherubini sono invece “chiamati a conoscere ed ammirare Dio, a contemplare la luce nel suo splendore originale”. Essi condividono con gli esseri inferiori i doni meravigliosi che hanno ricevuto da Dio. Per quanto riguarda i troni, l’autore dice che “il nome di nobili ed augusti troni significa che sono completamente liberati dalle umilianti passioni della terra; che aspirano nel loro sforzo sublime e costante a lasciare lontano, al di sotto di loro, tutto ciò che è vile e basso”. Parlando della funzione di questa prima gerarchia, lo pseudo-Dionigi dice che “ordinata a guisa di un cerchio intorno alla Divinità, la circonda immediatamente, e tra le gioie di una perenne conoscenza, esulta nella meravigliosa fissità di quell’entusiasmo che trasporta gli angeli”. Questa gerarchia “brilla sotto il dolce riflesso dello splendore infinito”.

Nel capitolo VIII lo pseudo-Dionigi presenta la seconda gerarchia celeste, che si compone delle dominazioni, delle virtù e delle potenze (o potestà). L’autore dice che “il nome di sante dominazioni indica, credo, la loro sublime spiritualità, libera da ogni impedimento materiale, e la loro autorità, libera e severa a un tempo, non macchiata mai dalla tirannia di alcuna vile passione”. Per quanto riguarda le virtù, lo pseudo-Dionigi dice che questo nome “sembra indicare quel virile ed invincibile vigore che esse spiegano nell’esercizio delle loro divine funzioni e che impedisce loro di ripiegarsi e di cadere sotto il peso delle auguste verità che sono loro manifestate”. Infine l’autore presenza anche le potenze, il cui nome “indica il perfetto ordine col quale si presentano all’influenza divina, e l’esercizio legittimo della loro sublime e santa autorità”. Parlando di questa seconda gerarchia angelica, lo pseudo-Dionigi scrive che “la comunicazione della scienza che vien fatta ad un angelo da un altro angelo spiega come i doni celesti sembrino perdere del loro splendore in proporzione dell’allontanarsi dalla loro origine per abbassarsi su esseri meno elevati”. Inoltre spiega che gli spiriti inferiori ricevono la luce per mezzo degli spiriti superiori: “gli spiriti del primo ordine purificano, illuminano e perfezionano le intelligenze meno nobili, le quali per tal mezzo si innalzano verso il principio sovra-essenziale di tutte le cose”. L’autore aggiunge che c’è “una legge generale stabilita dalla divina saggezza” per mezzo della quale “le grazie divine non vengono comunicate agli inferiori se non per il ministero dei superiori”.

Nel capitolo IX lo pseudo-Dionigi espone l’insegnamento relativo all’ultima gerarchia celeste, che comprende i principati, gli arcangeli e gli angeli. L’autore dice che “il nome di celesti principati indica che possiedono il divino segreto di comandare con quel perfetto ordine che conviene alle potenze superiori, di dirigere se stessi invariabilmente e di guidare autorevolmente gli altri verso Colui che regna al di sopra di tutto”, ossia Dio. L’ordine degli arcangeli ha qualcosa in comune sia con i principati sia con gli angeli: “come i primi, si tien volto appassionatamente verso il principio sovra-essenziale d’ogni cosa (…) e conduce gli angeli all’unità con l’invisibile sforzo d’una autorità saggia e disciplinata; come gli altri, compie le funzioni di ambasciatore, e ricevendo dalle nature superiori la luce dovutagli, la trasmette, con divina carità, prima agli angeli e poi, per loro mezzo, agli uomini”.

Poi lo pseudo-Dionigi spiega il funzionamento generale delle tre gerarchie angeliche: “Bisogna pensare che la prima gerarchia, più prossima per il suo ordine al santuario della Divinità, governa la seconda con mezzi misteriosi e segreti; che la seconda, a sua volta, accogliendo le dominazioni, le virtù e le potenze, guida la gerarchia dei principati, degli arcangeli e degli angeli in modo più chiaro della prima, ma tuttavia più occulto della terza; e che questa infine, meglio conosciuta da noi, regge le gerarchie umane, l’una per mezzo dell’altra, affinché l’uomo s’innalzi e si volga a Dio”.

L’autore sembra assumere il ruolo di avvocato difensore degli angeli e ci dice che “non bisogna imputare al governo dei buoni angeli la caduta universale dei popoli nella idolatria, ma che volontariamente, da se stessi, gli uomini hanno abbandonata la via che conduce a Dio”, perché erano trascinati dall’orgoglio e dalla perversità dei loro cuori.

Nel capitolo X l’autore sembra fare una specie di riassunto di quanto presentato nei capitoli che abbiamo analizzato, ed espone tre punti precisi:

  1. Che gli angeli più eccelsi sono illuminati da un più perfetto splendore;
  2. Che la subordinazione gerarchica si mantiene in questa trasmissione di luce;
  3. Che gli angeli e gli uomini sono dotati di un triplice potere.

Quale sarebbe questo triplice potere? L’autore scrive che si devono distinguere in ogni intelligenza umana o angelica “le facoltà di primo, secondo e terzo grado, corrispondenti precisamente ai tre ordini d’ispirazione che son propri di ciascuna gerarchia. Passando per questi gradi successivi, gli spiriti partecipano, secondo il loro potere, alla purità immacolata, alla luce sovrabbondante e alla perfezione senza limiti”.

Gli ultimi capitoli di quest’opera sono dedicati a dettagli dottrinali sugli angeli in generale. È sicuramente degno di nota l’ultimo capitolo, in cui lo pseudo-Dionigi chiarisce dei particolari che gli angeli sembrano mostrare nelle Scritture. L’autore cerca di spiegare come gli angeli prendano forma umana e i nostri attributi corporei: “Gli angeli sono rappresentati anche in forma umana, perché l’uomo è dotato di intelligenza, e può elevare lo sguardo in alto; perché ha la forma del corpo eretta e nobile, ed è nato per esercitare il comando”. Poi lo pseudo-Dionigi trae delle analogie dalle diverse parti del corpo umano per rappresentare qualità degli spiriti angelici. Egli dice inoltre che “la leggerezza delle ali dimostra che quelle sublimi nature non hanno nulla di terrestre e che nessuna corruzione appesantisce il loro ascendere verso i cieli”.